Il libro di Michael Craig The Professor, the Banker, and the Suicide King avrebbe meritato più attenzioni e fama nel mondo del poker. Si tratta infatti di uno dei pochi testi relativi a questo gioco che sono in grado di tenere incollato il lettore dalla prima all'ultima pagina, pur non trattando di strategia.
Nel suo libro Craig racconta per filo e per segno le incredibili sfide high stakes avvenute alla Bobby's Room del Bellagio tra il 2001 e il 2004, con protagonisti il banchiere miliardario Andy Beal e The Corporation, una "cordata" di professionisti disposti a unire i rispettivi bankroll per andare incontro alla richiesta di Beal di aumentare i blinds a livelli mai visti prima.
La forza di The Professor, the Banker, and the Suicide King sta nel fatto che anche il lettore meno esperto di poker può trovare entusiasmante il racconto. Craig, infatti, non si focalizza sul gioco in sé (in tutte le 492 pagine sono riportate non più di sette mani) ma sui personaggi coinvolti, e soprattutto sulla persona che si cela dietro all'imperturbabile giocatore.
Craig racconta i protagonisti dei tavoli nosebleed mettendo in primo piano le loro vicende personali, il percorso che li ha portati al successo nei rispettivi campi e i tratti dominanti del loro carattere. Solo dopo parla del gioco, delle abilità e delle varianti preferite.
Questo è il primo articolo di una serie che si occuperà di riportare aneddoti e storie raccontate da Michael Craig in The Professor, the Banker, and the Suicide King. Oggi ci concentriamo su Barry Greenstein, professionista noto in tutto il mondo per il soprannome di Robin Hood del poker.
BARRY GREENSTEIN: SYMANTEC E HIGH STAKES 3p5c4u
"Se vedeste Barry Greenstein al tavolo da poker, probabilmente vi verrebbe voglia di scuoterlo e dirgli di uscire e andare a divertirsi un po'. Con quelle occhiaie, le sopracciglia scure e la barba incolta potrebbe sembrare un contabile che ha fatto troppi straordinari".
Questa è la descrizione che Michael Craig fa di Barry Greenstein, un ritratto piuttosto accurato per chiunque abbia avuto modo di vedere all'opera il professionista statunitense. Silenzioso, serio, restio a parlare della sua vita privata: ancora oggi si sa poco del team pro di Pokerstars e le informazioni sul suo conto sono spesso completamente sbagliate. Da sempre, ad esempio, circola una voce secondo la quale Barry sarebbe uno dei soci di maggioranza della Symantec, colosso della Silicon Valley che produce l'antivirus Norton e vale miliardi di dollari.
Come spiega dettagliatamente Craig, questa circostanza è falsa. Barry ha lavorato per la Symantec per diversi anni come programmatore, ma tra anni novanta e duemila ha deciso di licenziarsi, rinunciando a tutte le sue quote. Non ha mai avuto un ruolo amministrativo e da quasi vent'anni non è in alcun modo legato a questa azienda.
A Barry, comunque, piaceva lavorare come programmatore. Laureatosi con il massimo dei voti in matematica all'Università dell'Illinois, Greenstein ottenne il posto per un prestigioso Ph.D (Dottorato di Ricerca, il massimo livello accademico negli USA). Iniziò a lavorare su un progetto legato ai linguaggi di programmazione all'inizio degli anni '80, ma dopo dieci anni non aveva ancora concluso niente. Il motivo di questo enorme ritardo era da attribuire, ovviamente, al poker.
Inizialmente era un regular delle partite private di cash game dell'Illinois, dove, a quanto pare, riuscì a vincere tutto quello che era possibile vincere. Per questo motivo nei primi anni '90 fu costretto a trasferirsi in California (e a dire addio al Ph.D) per prendere parte alle frenetiche partite high stakes della Bay Area. La zona è la stessa dove oggi Phil Hellmuth gioca gli home games della Silicon Valley e fu proprio nel centro nevralgico della tecnologia USA che Greenstein trovò impiego presso la Symantec.
Ma perché continuare a svolgere un lavoro "normale" quando era in grado di accumulare milioni di dollari con il cash game? La risposta è strettamente collegata al soprannome per cui tutti lo conoscono oggi.
BARRY GREENSTEIN: IL CONFLITTO MORALE 3wq37
Fin dalle prime partite giocate all'università, Barry comprese di avere un talento naturale per il poker che lo rendeva uno squalo imbattibile ai tavoli, grazie anche a una profonda conoscenza di matematica e statistica. Iniziò a vincere con una facilità disarmante e dopo la laurea comprese di poter fare un'infinità di soldi.
Ciononostante, fin da quando era ragazzino era convinto di avere uno scopo diverso nella vita, di poter fare del bene per le persone. Un'esistenza da gambler in giro per l'America a caccia del prossimo pollo da spennare non era ciò che voleva perché non avrebbe contribuito in alcun modo a rendere il mondo un posto migliore.
Per questo motivo dopo la laurea non si gettò a capofitto nel poker ma si iscrisse al Ph.D in matematica e per lo stesso motivo, anche quando distruggeva tutte le partite più alte della California, accettò il lavoro presso Symantec. Voleva compiere qualcosa di importante nella sua vita, che fosse di aiuto per gli altri, e al tempo stesso voleva avere un impiego normale per mantenere costanti le entrate, dovendo anche mantenere la famiglia.
Barry ha sempre combattuto una lotta interiore tra ciò a cui ambiva (lasciare il contribuito all'umanità) e ciò che meglio gli riusciva (vincere milioni di dollari a poker).
Questo conflitto di natura morale è proseguito fino ai primi anni duemila, quando incontrò il produttore pornografico Larry Flynt, grandissimo apionato di poker nella variante dello Stud. Flynt non giocava ad altro e organizzava delle partite private a casa sua dove metteva sul tavolo cifre da capogiro insieme ad altri ricchi imprenditori. A cavallo del nuovo millennio, Greenstein ebbe l'opportunità di partecipare a queste partite e presto si rese conto che erano una miniera d'oro.
All'epoca viveva nella baia di San Francisco e gli home games si disputavano a Los Angeles, quindi, scegliendo di giocare solo da Flynt, avrebbe anche potuto smettere di volare a Las Vegas ogni volta che c'erano partite interessanti. Il field di basso livello, gli stakes altissimi e la comodità di raggiungere il tavolo, lo spinsero a prendere una decisione drastica: si licenziò dalla Symantec, rinunciò definitivamente alla possibilità di riprendere il Ph.D (aveva ormai più di quarant'anni), si trasferì a Los Angeles e decise di dedicarsi interamente al poker.
Negli home games di Larry Flynt vinse cifre fuori da ogni logica, nell'ordine di decine di milioni di dollari. Ciononostante, era irrequieto, perennemente infelice e insoddisfatto. Il motivo dovrebbe ormai essere chiaro: voleva dedicare la sua vita a un bene superiore, non voleva arla interamente a spennare ricchi miliardari annoiati.
Nel frattempo, nel 2003, Chris Moneymaker vinceva il Main Event WSOP e cambiava il poker per sempre. Migliaia di giocatori amatoriali si riversarono nelle poker room di tutto il mondo nel tentativo di rivivere in prima persona il sogno di Moneymaker.
Craig racconta nel suo libro che i regular dei giochi high stakes della Bobby's Room vedevano i tornei come un semplice atempo, convinti che il vero poker fosse il cash game. Le ragioni erano due: i soldi importanti si facevano al tavolo di cash; era opinione comune che nei tornei le abilità contassero molto meno. Ciononostante, dal 2003 tutti i protagonisti della sfida a Andy Beal (Howard Lederer, Doyle Brunson, Jennifer Harman, persino Chip Reese) iniziarono a partecipare agli MTT per sfruttare field facili e la possibilità di essere sponsorizzati.
Greenstein, all'epoca considerato uno dei migliori giocatori di No-Limit Hol'dem al mondo, iniziò immediatamente a ottenere risultati importanti. Solo nel 2003 vinse quattro tornei e centrò dodici tavoli finali.
All'epoca i mass media cominciavano a interessarsi al poker: articoli, interviste, documentari e trasmissioni televisive spuntavano come funghi sul nuovo fenomeno Texas Hold'em. A inizio 2004, Barry vinse il suo primo titolo WPT, il Main Event disputatosi a Tunica. Notò con stupore il clamore mediatico intorno a lui dopo la vittoria ed ebbe l'illuminazione che cambiò la sua vita e la sua carriera: comprese che avrebbe potuto fare del bene sfruttando i soldi vinti e l'improvvisa notorietà del poker, risolvendo quindi il dilemma morale che lo attanagliava.
Durante l'intervista post-vittoria comunicò ai giornalisti che avrebbe devoluto in beneficenza l'intera somma appena incassata. Tutti i presenti restarono a bocca aperta perché si trattava di 1.2 milioni di dollari. Barry donò pubblicamente la vincita alla Children Inc, associazione statunitense che si occupa di aiutare bambini in difficoltà. Il gesto fu ripreso da tutti i media nazionali, portando ulteriore fama al poker e spazzando via gli stereotipi sul giocatore professionista, all'epoca visto ancora come un personaggio losco ai limiti della società.
Nel 2004 centrò una 5° posizione in un torneo WPT disputatosi su una crociera e vinse 194.763$. Un mese dopo vinse un evento del Baellagio per 215.696$, per poi vincere anche il Championship di Deuce-to-Seven alle WSOP per altri 296.200$. Donò in beneficenza tutto ciò che aveva vinto nei tornei, sentendosi attribuire per la prima volta il soprannome di Robin Hood del poker da un quotidiano di Las Vegas.
Questa pratica andò avanti a lungo, ben oltre i fatti raccontati da Craig nel suo libro (si ferma al 2004). Si stima che Barry abbia donato più di tre milioni di dollari in beneficenza durante la sua carriera. Ha smesso di farlo quando è iniziato il suo declino, che secondo alcuni (tra cui Haralabos Voulgaris) lo avrebbe addirittura lasciato al verde.
Purtroppo al giorno d'oggi sono tante le persone che sostengono che Greenstein sia broke, una circostanza che lui non smentisce ma arriva quasi a confermare quando dice che attualmente non gioca altro che i tornei playmoney su Pokerstars.com. Nessuno a parte il diretto interessato può sapere quale sia la verità ma certamente ciò che Barry Greenstein ha fatto per aiutare gli altri è tangibile e rimarrà per sempre.
Per questo motivo verrà lo ricorderanno tutti con il soprannome di Robin Hood del poker: una specie di supereroe che rubava agli avversari per donare ai bambini in difficoltà, dando anche un contributo fondamentale a ripulire l'immagine di un gioco che con le bische e i criminali non aveva più nulla a che fare.